Ho finito di leggerlo e ho avuto voglia di rileggerlo subito.
Mi era capitata la stessa cosa con “Cent’anni di solitudine” e “Rulli di tamburi per Rancas”
Sarà che la lingua non mi è del tutto sconosciuta (Maurizio è Sardo), sarà che ho conosciuto più di una fill’e anima nei miei soggiorni in Sardegna, che ho conosciuto molti giovani che sono andati “in su continenti” e quando sono rientrati in pianta stabile hanno ripreso i rapporti con tutti come se il tempo trascorso “fuori” non fosse mai passato e sono stata testimone di un semplice saluto espresso con
“Chiarella, tornata sei, beni beniu”
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Tzia Bonaria le diede un letto tutto suo e una camera piena di santi, tutti cattivi.
Lì Maria capì che il paradiso non era un posto per bambini.
Due notti stette zitta vegliando con gli occhi tesi nel buio per cogliere lacrime di sangue o scintille dalle aureole. La terza notte si fece vincere dalla paura del sacro cuore col dito puntato, reso visibilmente minaccioso dal peso di tre rosari sul petto zampillante.
Non resistette più, e gridò.
Tzia Bonaria aprì la porta dopo nemmeno un minuto, trovando Maria in piedi accanto al muro che stringeva il cuscino di lana irsuta eletto a cucciolo difensore.
Poi guardò la statua sanguinante, più vicina al letto di quanto fosse sembrata mai.
Prese sottobraccio la statua e la portò via senza una parola; il giorno dopo sparirono dalla credenza anche l'acquasantiera con Santa Rita disegnata dentro e l'agnello mistico di gesso, riccio come un cane randagio, feroce come un leone.
Maria ricominciò a dire l'Ave solo dopo un po', ma a bassa voce, perchè la Madonna non sentisse e la prendesse sul serio nell'ora della nostra morte amen.
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Questo sopra uno stralcio del primo capitolo, l’incontro della “filla e anima” con l’Accabadora.
Alcune cose vanno fatte e basta, altre non vanno fatte.
Lo stile mi ha rammentato Verga, Pirandello, Sciascia e Giuseppe Dessì di "Paese d'ombre"
Campiello 2010 meritatissimo, grazie Michela.
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